24 settembre 2011

AVANZAMENTI SIGNIFICATIVI

1. Tema: mi si è spezzata un'unghia della mia scintillante e fasulla manicure
Considerazioni:
- niente è perfetto a questo mondo
- persino le cose più piccole e insignificanti sono fragili e provvisorie
- lo stato delle mie mani rispecchia ora più e meglio di prima, quando tutte e dieci le dita fresche di manicure erano perfette, il mio stato d'animo attuale: una compresenza di vecchio e nuovo, e soprattutto una crepa dentro l'edificio perfetto, che evidentemente così perfetto non era. E ora, nella sua imperfezione, è più vero di prima, quando APPARENTEMENTE tutte le dieci dita della mia persona, fresche di smalto, non mostravano scalfittura alcuna.
2. Tema: oggi ho attraversato il Conservatorio
"Ho attraversato". Non ci sono semplicemente "andata".
Considerazioni:
- i luoghi sono luoghi, in sè e per sè nè buoni nè cattivi. E' la nostra soggettività, e il solo fatto di incontrarli sul nostro cammino, che li investe di valenze positive o negative.
- E tuttavia bisogna pur dire che i luoghi quando fanno male, fanno male. MINCHIA, se fanno male. Scalfiscono. Anzi, direi che graffiano. Come è successo alla mia unghia, scalfita anche, occorre dirlo, a causa della sua stessa fragilità.
- Poi ci ritorni vent'anni dopo, e come te li trovi, questi luoghi? Te li trovi vuoti, silenziosi, innocui. Luoghi. Punto. Che nel frattempo, in questi vent'anni, sai quante facce, quante storie, quanti casi hanno visto passare fra le loro mura. E del mio, di passaggio, manco più resta una traccia. Anzi, non rimaneva più già il giorno dopo che ero uscita stremata dalla sala Puccini a diploma finito, che non sapevo nemmeno come mi chiamavo da quanto ero stanca sfinita per aver giocato a un gioco che ancora non ho capito quanto fosse il mio.
- I luoghi invecchiano e sono imperfetti; anche loro come le unghie e gli esseri umani. Ti fanno vedere i muri scrostati, i corridoi anneriti, gli arredi vissuti per decenni, insieme alle postazioni Internet, ai totem ultramoderni, esibiti in quel tentativo strenuo, che intenerisce anche un po', che le cose, come le persone, fanno per andare avanti, camminare, in una compresenza mai esaurita, mai assimilata, di schegge di passato e di futuro. I luoghi, come noi, non fanno quello che DEVONO. Fanno quello che POSSONO.
Anche con noi che li viviamo, ci lottiamo, ci soffriamo come delle bestie, fanno quello che possono. Con me, il Conservatorio ha fatto quel che ha potuto. Ma non per accanimento nei miei confronti. Senza un particolare perchè. Perchè la vita va come deve andare, e non ci sono santi nè madonne.
- Eppure, anche se sono imperfetti, i luoghi possono comunque essere belli. Il Conservatorio, secondo me, il meglio di sè lo ha sempre dato in primavera e ancora di più in questa stagione. D'inverno, me lo ricordo come fosse ORA, la luce al neon la fa da padrona, e enfatizza la tristezza del passato conventuale del posto, dove a noi ci chiudevano a chiave a fare gli esami di composizione esattamente come i religiosi ci vivevano separati dal mondo. Sono luoghi così, fatti per la separatezza, la diversità. Ma in autunno ce la può fare persino quel posto, ad essere quasi bello. Oggi pomeriggio non c'era nessuno, a parte la luce. Quella più bella secondo me, che non sa più essere luce estiva e ancora non è propriamente luce crepuscolare. Una via di mezzo, che correva lungo le pareti un po' tristi e i linoleum sempre quelli, sempre loro, e li scaldava, in qualche modo, e scioglieva un po' di quel loro silenzioso stare lì. Una luce radente che dentro di sè aveva tutto il mio tempo passato, e lo illuminava, e mi diceva "Guardalo; forse adesso puoi cominciare a guardarlo senza che ti faccia così male, così paura da toglierti il fiato".
- Poi mi sono fermata davanti alla porta dell'aula quella grande, in fondo al corridoio del secondo piano, dove ho dato l'ottavo. E mi sono dovuta sforzare per credere di essere stata lì. Sono rimasta in piedi lì davanti come una cretina, a tentare di ricordare, di rivedermi lì dentro non so nemmeno dire quanti giorni, quante ore, quante volte, a lasciar giù quanta fatica e sofferenza porca. E lì dentro anche a passare dalla strettoia ESISTENZIALE di quell'esame, cercandomi le risorse e le forze in ogni muscolo, tendine, nervo che avevo in corpo per buttarmi oltre la paura fottuta del mostro nero che mi aspettava al di là della doppia porta. DIO, che paura fottuta del fallimento, dell'errore, dell'imperfezione. Cosa rimaneva davanti a quella porta, oggi pomeriggio, di tutto questo? Niente. Perchè i luoghi sono solo luoghi. Punto. E' dentro la mia vita che è rimasto tutto. Lì NIENTE, non una briciola, non un millesimo, niente si è perso, nel bene e nel male.
- E infatti, cosa ero lì a fare? Ero lì ad attaccare locandine in cui si legge "Responsabile organizzazione stagione concertistica: Laura Montingelli". Una piccola, infinitesima cosa (perchè la vita di questo è fatta, di piccole infinitesime cose) costata immani, direi sproporzionate fatiche. Ma vorrà pur dire qualcosa, se non ero lì ad attaccare locandine della Vodafone o della Tecnocasa.
Il passato, nel male come nel bene, per fortuna non passa mai.


Laura

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