24 gennaio 2012

FEIS BUC

Sconvolgente.
E' la prima cosa che mi viene da dire a seguito del cinque minuti che mi ha preso ieri sera di andare a ravanare su Feis Buc, alimentando quell'insano voyeurismo dal quale mi tengo ben lontana da che esistono e impazzano i soscial netuorc(s).
A parte il fatto che l'interfaccia di Feis Buc mi pare esteticamente orrenda e assai poco funzionale, "intruppata" com'è di informazioni tutte appiccicate, scritte a caratteri minuscoli, e fra le quali a stento distingui quelle caricate dall'utente, quelle pubblicitarie, i contributi dei suoi "amici" (...) e visitatori...
Ecco, a parte questo - che comunque non è a mio avviso dato di secondaria importanza, ma che invece parla, e dice dell'assoluta indifferenza dell'utente medio del soscial netuorc per l'aspetto estetico e anche per la forma della comunicazione, e della sua esclusiva attenzione per i contenuti - sono rimasta, appunto, sconvolta dalla gente.
Ohmmmiodddio.
Ma sarebbero questi i soggetti con i quali ho condiviso il Paleolitico della mia esistenza?
Beh, se questi sono, è come non averli praticamente mai conosciuti.
E' come se avessi conosciuto delle altre persone.
Mi sono trovata al cospetto di vere e proprie mutazioni genetiche... di fronte alle quali, lo dico senza falsa modestia, io che mi faccio tante pippe sul tema dell'invecchiamento ci ho solo da stare allegra.
E a ben vedere, lo stesso Cristiano può brindare alla propria eccellente tenuta fisica, anche lui solitamente così critico e così portato a drammatizzare gli effetti del tempo sul proprio aspetto.
Mi ha colpito, infatti, soprattutto la débacle degli uomini: un'ecatombe di capelli sulla testa di gente che ricordo esibire folte chiome ribelli; fisici assurdamente scolpiti da massacri di palestra per contrastare l'avanzare impietoso della pancetta, con effetti che, ben lungi dall'esercitare un effetto erotico, mi suscitano un sentimento di pietas per le disastrose conseguenze della vanità maschile (si sa, ben più devastanti di quella femminile, pure a volte letale); o, in alternativa al modello palestrato, una resa totale al passare degli anni (e della birra, e delle scofanate degli italici pranzi domenicali), come se l'essere diventati padri di famiglia comportasse la fine della cura di se stessi, a favore dei figli-vampiro.
Arduo stabilire quale fra le due (fanatismo per il fitness o resa incondizionata) sia la strategia dalle "migliori" conseguenze estetiche.
Mi vien da fare anche un'altra considerazione: i più intelligenti sono anche quelli che tutto sommato si sono salvati sotto il profilo del "cosa aver fatto esteticamente di se stessi", vale a dire quale forma esteriore essersi dati nell'adultità. Viceversa i più cretini, specie se anche supponenti, hanno scelto le soluzioni peggiori. Come dire, alla scarsa intelligenza corrisponde sempre e ancora un ben scarso senso estetico, ma per contro una convinzione di se stessi che meno della metà basterebbe ai più intelligenti per spaccare il mondo. E invece, si sa, è solitamente inversamente proporzionale alle doti intellettuali.
Sotto questo profilo, ciò che eravamo allora siamo sostanzialmente rimasti.
Ma sotto molti altri, niente, veramente niente rimane di quei ragazzetti goffi e malvestiti (Madonna, che gusto, che "moda"!!!! Orrore puro!!!!) delle foto di classe nel chiostro del "Giuseppe Verdi". Non eravamo che alla preistoria delle nostre esistenze; niente era formato, niente era deciso. Tutta materia informe, per quanto tanti buongiorno senza dubbio si vedessero già dal mattino.
Ma dentro le vite di questa gente, cos'è successo VERAMENTE? Mistero. Assolutamente e totalmente celato dietro le foto sorridenti che tutti scelgono di pubblicare per mostrare esistenze piene, vitali, riuscite, serene. Esistenze stracolme di "amici", viaggi, sorprese, avventure, divertimenti. Tutte vite quasi da film, o comunque assai più intriganti di quelle reali, a partire proprio dal posticcio tourbillon di "amici".  
E' vero che io stessa, attraverso questo blog, ho deciso anni fa di vivere una vita pubblica, sociale, appunto, di crearmi uno spazio nella rete, e che spesso lo riempio di foto apparentemente felici. Però scrivo molto, e di tante cose; anche delle mie infelicità, dei miei dubbi, delle mie paure.
Tutte ombre che nelle pagine viste ieri sera paiono inesistenti, ma che tendo a considerare solo nascoste.
Non giudico, sia chiaro. Vivere una vita virtuale parallela a quella, spesso divenuta così difficile e faticosa, nel mondo reale, a me stessa è quasi parsa per un attimo in cui mi sono "distratta" una soluzione, una panacea, una via d'uscita, un conforto. E il risveglio, la presa di coscienza che così non è, è durissimo, se e quando avviene.
Quello che però mi sconcerta è che laddove io ho cercato profondità, questi su Feis Buc cercano invece il massimo dell'evanescenza, dell'inconsistenza, del disimpegno. Non si dicono niente, nonostante tanto scrivere. Guardano se stessi e gli altri non per capire chi sono stati, cosa sono diventati, cosa per loro conta e pesa, cosa no, cosa tengono e cosa buttano del passato. E nemmeno per attivare un confronto e/o uno scambio vero e costruttivo con gli altri. Ma per spiare, e forse anche poter trarre la conclusione che tutto sommato sono meno sfigati e meno infelici e meno falliti di tanti altri. Per rassicurarsi, insomma. Per guardare le loro gallerie di foto sorridenti e dirsi "Ma sì, dai, tutto considerato sono felice".
Eppure, secondo me, la differenza fra chi lo è davvero, come ad esempio quelli che mettono le foto in cui portano fra le braccia i figli appena nati, e chi fa finta, si vede.
La verità buca. Anche le barriere del virtuale.

Laura

21 gennaio 2012

RANIA & ME

Sottotitolo: puro amore gattaro


20 gennaio 2012

LA DIMENSIONE CAMPANILISTICA DI QUESTO PAESE

Non dico niente di nuovo, né di originale. Lo so.
Ma il fatto è che certe cose un conto è leggerle nei saggi e negli articoli delle migliori menti giornalistiche e intellettuali di questo assurdo Paese (Ceronetti, Arbasino, Bianciardi, Sciascia, Bocca, e passando ai vivi Maltese, Serra ecc. ecc.), altro è vederle e toccarle con mano nel quotidiano.
E non finiscono mai di sconcertarmi.
Questo è un Paese che ha, per così dire, una visuale sul mondo delle proporzioni di una caccola.
Ossia: la maggioranza della gente vive la propria quotidianità dentro un recinto mentale ed esistenziale costituito nemmeno dal proprio Comune di residenza, o dal proprio quartiere.
Vive dentro un sistema di riferimento spaziale e mentale che al massimo si compone di due/tre strade, e tre/quattro luoghi topici: la casa, il luogo di lavoro, il bar della colazione pre-stracciamento di coglioni dell'entrata in ufficio, l'altro bar - quello che invece va bene per la pausa pranzo. Perché, da quando la società post-industriale ha disintegrato il concetto di mensa aziendale, e mette a serissimo repentaglio la pausa pranzo medesima, per chi non può o per mille motivi non vuole ricorrere alla cara, vecchia, economica schiscetta dei nostri nonni operai, l'unica soluzione è appunto il panino o la piadina al bar. E spesso non è quello dove si fa la colazione, perché uno si ritiene meritevole per i cappucci e le briosches, l'altro per il pasto del mezzodì. Poi c'è qualche negozio di fiducia; ma sempre meno, perché ormai vanno per la maggiore le domeniche trascorse nei centri commerciali, i luna park del terzo millennio. Cos'altro ancora? Ben poco oltre a questo. Non i teatri certamente, frequentati da un'élite intellettuale sempre minoritaria rispetto alla massa, per quanto cospicua se osservata quando si concentra, un po' come le cavie nelle gabbiette, nei suoi luoghi deputati (il che, va detto, non manca di consolare un po'). Non le librerie, e vale lo stesso discorso dei teatri; perché se è vero che sono piene, la maggioranza della gente compra Faletti. I cinema sì, ma attenzione: ormai solo i multisala all'interno dei suddetti centri commerciali, nei quali l'italiano medio entra per vedere un film (che già per una famiglia di quattro persone sono quaranta carte) e finisce con l'abboffarsi alle mangiatoie pseudo-etniche arredate, si fa molto per dire, in stile; giocare ai vari giochini; far pescare i pelusches a grandezza umana ai figli alle pesche elettroniche (la tristezza della tristezza: già le pesche di paese son sempre state deprimenti... figurarsi la loro versione riveduta e corretta che le trapianta dalla sagra del culatello al luna park iper-tecnologico del terzo millennio); tirare su il ruttino di digestione con litrate di Coca Cola (sempre più annacquata da chili di cubetti di ghiaccio, ci avete fatto caso?), per concludere con orride porzioni di pop-corn beccandosi (pagandola profumatamente con due/tre euro di sovrapprezzo sul biglietto) mezz'ora di pubblicità e trailer dei film in uscita, prima di vedere quello per cui si trova lì.
Questo è il reticolo dei riferimenti esistenziali della maggior parte della gente che vedo intorno a me.
La domanda è: ma come fa a bastare? Come si fa a non sentirsi soffocare? Come si fa ad essere appagati? A non sentire il bisogno di scoprire nuovi orizzonti, vedere nuovi paesaggi, cambiare strade, cambiare aria, cambiare facce? Ora, non dico che tutti debbano sentire nella stessa misura un afflato d'avventura alla Salgari.
Ma Dio buono e santo, com'è possibile che l'abitante medio dell'hinterland milanese conosca a stento, di Milano, piazza del Duomo, corso Vittorio Emanuele, il Castello Sforzesco e via Torino, come i giapponesi in visita organizzata da Tokyo?
Ne ho incontrata tanta, tantissima di gente così. Non la si può considerare un'eccezione, ma la regola.
In questo Paese, i metri di misura dell'esistenza sono la famiglia (o sarebbe meglio dire quanto ancora ne rimane, o comunque un'immagine della famiglia da far passare all'esterno, non importa poi quanto di squallido e triste si consumi realmente all'interno delle mura domestiche); e casa propria, intendendosi come tale l'area rigorosamente circoscritta alla soglia dell'appartamento o della villetta a schiera. Mentre già il pianerottolo antistante, o il giardino comune, viene vissuto e percepito come un'inquietante e pericolosa terra di nessuno, un luogo di passaggio da attraversare in fretta - onde evitare o ridurre al minimo lo scambio e il contatto umano col vicino, quell'oscuro, insondabile, misterioso oggetto - fra lo sbarco dell'ascensore e, appunto, la soglia dell'augusta dimora. Rispetto alla quale, ogni capofamiglia italiano tende a sentirsi come l'incontrastato sovrano della Repubblica di Bingo Bongo. Da qui l'assoluta, totale indifferenza per quanto accade o per lo stato fisico delle cose al di là del confine segnato dallo zerbino, dal fantasioso portaombrelli e dai più stucchevoli (e contraddittori) messaggi di benvenuto affiancati al campanello. Il concetto è: mi frega SOLO (e già faticosamente) di quanto avviene da qui in DENTRO; da qui in FUORI possono anche avvenire crolli strutturali, bieche azioni di ogni tipo, financo pestilenze, carestie, tsunami; possono anche giacere topi morti. NON E' AFFAR MIO.
E dunque tutto si vive così: in questa dimensione ristretta, atrofizzata, stitica, assurdamente e claustrofobicamente autoreferenziale. Ogni giornata è uguale all'altra, con le sue piccinerie, i suoi minuscoli rituali che coinvolgono un numero minimo di propri simili di cui ancora più o meno ci si fida, più o meno, anche se non soprattutto, ci si serve, più o meno si ritengono simili a sé.
Una specie di orrida Lilliput, mancante di ogni fascino miniaturistico e grondante invece di ignoranza, diffidenza, cecità interiore. Un ottimo terreno per il proliferare delle paure, dei razzismi, delle intolleranze che, prima ancora che riguardare quello che ha la pelle di colore diverso - il "negro", che puzza (grande, intramontabile classico), il cinese, che vende tutto a due euro e mi rovina la piazza (nuovo bersaglio), il marocchino, che è un porco con le donne e viene a farsi mantenere qui perché non ha voglia di lavorare a casa sua (anche questo ormai quasi un classico al pari del "negro") - identificano infallibilmente, attraverso un fiuto, un istinto animale, il "diverso", in tutte le sue forme e manifestazioni; anche quello di pelle bianca. Quello che, si intuisce, è fuori dal coro. Quello che dentro il tuo minuscolo, asfittico gruppetto non ce lo vedi bene, anche se con te è cordiale, gentile, ammodo, non puoi dire niente. Quello strano, che non guarda la tivvù, non ascolta la Pausini, non si capisce bene come riempia il suo tempo libero e fa cose bizzarre tipo leggere libri, dipingere quadri, scrivere cose. Meglio tenerlo a debita distanza. Un po' per timore, un po' per un sottile disagio figlio di un sentimento di inadeguatezza che cova in questi animi anestetizzati senza arrivare al livello della razionalizzazione, bensì rimanendo nascosto nelle viscere; dove, mancando gli strumenti e/o la capacità di elaborazione intellettuale, restano a galleggiare i vissuti e il sentire di questa gente.
E del resto, è difficile sfuggire alla propria storia.
Questo è da sempre il Paese delle "famiglie" e dei "famigli", delle "contrade", dei "quartieri" e dei "sestieri", dei guelfi e dei ghibellini, dei bianchi e dei neri, dei Capuleti e dei Montecchi.
E mal vi può vivere chi, per diversa forma mentale plasmata dalla cultura, dalla sensibilità, dalla curiosità insaziabile per il mondo e per le cose, nonché proprio per la diversità, non può far propria questa asfissiante ristrettezza di vedute.

Laura

19 gennaio 2012

GRANDI VERITA' - MASSIMA ODIERNA DI CRISTIANO

"Questo è un Paese nel quale al massimo puoi pensare di aprire una pizzeria; perché i bisogni, le necessità, sono elementari. Cioè, quando la gente ha ben comprato i cellulari e ha guardato la tivù, cos'altro fa? Mangia la pizza a domicilio. Allora se vuoi aprire un'attività, l'unica è la pizzeria. Impari a fare la pizza nel forno a legna, ed è il massimo della qualifica."

E VUOI DIRE CHE NON E' VERO?

Laura

UN'INELUDIBILE QUESTIONE

Indagare le ragioni profonde della mia necessità di travestimento.

Temi correlati:
- l'identità: uno, nessuno, centomila
- il rispecchiamento (in se stessi, negli altri)
- la maschera
- il teatro
- il Carnevale
- la tendenza narcisistica (quella sana e quella "malata")
Quali i motivi della mia attrazione per questa dimensione?
Fuga dalla realtà e/o bisogno di camuffare la persona sotto il personaggio?

Laura

DOPO LA PRATICA DI QUESTA SERA

La grande difficoltà è SEMPRE 
"portare lo yoga FUORI dal tappetino".
Ma già viverlo bene dentro il medesimo, 
è notevole cosa.

Laura

18 gennaio 2012

MAURIZIO CROZZA - Schettino e lo «scontro tra scoglioni...» - Ballarò



NON C'E' ALTRO DA DIRE.

Laura

MA IO, ESATTAMENTE, COSA VORREI???!!!!!??????!!!!????

Sforziamoci di metterlo a fuoco.

Vorrei più vicinanze.
Vorrei più colori.
Vorrei più stare insieme.
Vorrei poter parlare con anime vive anziché scrivere in maniera autoreferenziale su questo blog, che per carità va bene, ma non è e non può essere e non sarà MAI abbastanza.
Vorrei che gli altri fossero loro stessi, ma avessero dentro anche qualcosina di me; non per presunzione, ma per ritrovarmi un po' in loro e sentirmi meno sola.
Vorrei che tutto si potesse spiegare e chiarire, e che 2+2 facesse sempre 4.
Vorrei riavvolgere il nastro, e rivedere e riascoltare, perché comincio a non ricordarmi più; e questo non è buon segno.
Vorrei riaprire il pianoforte, anziché constatare che non me ne frega più niente di aprirlo e passarci ormai accanto come si passa accanto a un inutile e tutto sommato abbastanza invisibile pezzo d'arredamento.
Vorrei non aver interrotto i miei corsi di recitazione. E sono stata una cogliona a interromperli.
Vorrei aver fatto lettere per poi aver potuto scrivere. Oppure aver fatto ragioneria, se mi toccava far di conto. Essere metà e metà è scomodo e doloroso; e spesso non ci vedo dentro il senso.
Vorrei aver detto di più, ma in altri momenti vorrei invece aver detto di meno, o niente del tutto. Perché non sono affatto sicura che sia stato utile e sensato, e sento un certo gusto amaro nel cuore.
Vorrei avere la sensazione che per gli altri conto quanto loro contano per me.
Vorrei sapere cosa c'è nella testa delle persone. E di alcune in particolare.
Vorrei saper sempre ben distinguere l'idea dal dato reale.
Vorrei avere capito se sono una, nessuna o centomila.
Vorrei aver capito prima. 
Vorrei avere capito.


Laura

15 gennaio 2012

RITORNO AL TEATRO!!!

Sogno di una notte di mezza estate
regia di Elio De Capitani
Teatro Elfo Puccini 
Ed eccola ritrovata, quella grande, immensa magia che rende un palcoscenico uno spazio senza confini, delle sagome di cartongesso il più splendido palazzo al mondo e due teli dorati il mare scintillante della più pura immaginazione.
Dio buono, ma non avevo VERAMENTE capito niente di me, per prendere tutte le strade che ho preso e abbandonare quelle che forse sarebbero state le più giuste...
Io che dentro la vita vera sono così inadatta a stare, perché non mi sono data la possibilità di vivere dentro le mie tanto amate, adorate dimensioni parallele?
Quelle dove tanto poco basta a creare una potente, travolgente magia...
Quelle dove pure di tutte le umane emozioni si parla, anche del dolore, del lutto, della follia e della disperazione, della stessa fuga dalla realtà, dei labili confini fra questa e il sogno... e di tutto parlando, si esorcizza il non-senso, si cercano risposte, e comunque si vive, e comunque si cresce e si impara.
DATEMI IL TEATRO!
DATEMI IL SOGNO, L'EVASIONE, LA FUGA!
CHE NON MI VENGA MAI MENO 
LA FORZA DELL'IMMAGINAZIONE!
Laura

14 gennaio 2012

COMO UNA OLA DE FUERZA Y LUZ

Mercoledì sera, esperienza di meditazione conclusiva della pratica yoga particolarmente profonda e produttiva.
Ogni volta è diverso, ogni volta comunque vada è una scoperta.

Laura

Sinéad O'Connor: "I Am Stretched On Your Grave"


Dalle performances giovanili perde in smalto, ma guadagna in intensità.
La voce della sofferenza, non c'è che dire.
Questo è il concerto di Dublino di dicembre.
Ieri ha tentato il suicidio, dopo alcune richieste di aiuto su Internet (cosa, questa, che mi ha assai colpito).

Laura

13 gennaio 2012

CAT MOM HUGS BABY KITTEN


...MA DITEMI VOI COME SI FA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Laura

QUANTEVITEQUANTESTORIE (IL GRAN TEATRO DEL MONDO)

Ci sono i ricchi che vivono da poveri.
Ci sono i ricchi che vivono da ricchi ma sono convinti di essere quasi poveri, e quindi si lamentano (generalmente con chi è più povero di loro) e sono sempre scontenti (nonostante le case, le barche, i viaggi, le cene, i parties, i vestiti, i gioielli e i profumi).
C'è chi i soldi che ha non fa che accumularli. Non smetterò mai di domandarmi che gusto c'è. Un cosa è la parsimonia, altra l'insensata tirchieria. Se un ricco alla fine vive come e peggio di me, che non sono certamente povera, ma ho meno possibilità di fare cose e vedere il mondo di lui, che senso ha?
Ci sono i poveri felici (sempre meno, a dire il vero, e sempre più una figura fiabesca). Ma anche, va detto, i poveri infelici (sempre più numerosi, e giustamente sempre più rabbiosi).
Ci sono, inutile dirlo, i poveri fuori e ricchi dentro, e viceversa.
Ci sono case bianche, eleganti, bellissime, eppure fredde.
E ci sono le case ricche, eppure brutte.
E case bruttine, ma accoglienti.
Poi ci sono case povere e brutte, che non riescono nemmeno ad essere accoglienti.
C'è gente che vorrebbe dei figli, ma per mille motivi non può metterli al mondo. E in alcuni casi, è un vero peccato.
C'è chi li ha e non sa nemmanco che cos'ha.
C'è chi ne ha addirittura troppi. Che scambia i figli con i conigli.
C'è chi ne ha, ma detto fra noi sarebbe meglio non li avesse.
C'è chi gli va di culo per una vita intera, e poi muore d'infarto in due minuti.
C'è chi fa fatica tutta la vita, ma almeno vive.
Chi fra questi potrebbe dire di aver meglio vissuto?
C'è chi insegue senza posa il possesso e le ambizioni, e chi non ne ha nemmeno nella minima dose dell'amor proprio.
C'è chi ha trovato il suo equilibrio, e chi non lo trova mai. C'è addirittura chi nasce con l'equilibrio (vero o presunto che esso sia) in dotazione, e chi non ce l'ha per niente, ma non si pone minimamente il problema per il semplice motivo che non se ne accorge neppure.
Ci sono le vite dei semplici, e le vite dei complicati.
Chi ha ragione?
Ma forse la VERA domanda è: il torto e la ragione esistono sempre?
No, non esistono sempre.
Ma ciò non significa che tutto sia uguale a tutto.
E chi me lo vuol far credere ha torto, che sia in buona o in mala fede.
I complicati vivono tutte e tre le dimensioni esistenziali; ma, generalmente, stando più male che bene.
I semplici vivono meglio, se non bene (hanno anche loro i loro travagli, benché di natura esclusivamente esteriore ed eminentemente pratica; ma pur sempre affanni sono); però vivono solitamente in due dimensioni, talvolta addirittura in una sola.
Vedono a metà; e soprattutto sentono (dentro) a metà.
Chi fra questi, nel giorno dell'ultimo respiro, potrà dire di aver meglio vissuto?
Quelli che avranno vissuto a metà ma, non avvedendosene neppure, quella metà l'avranno vissuta bene, o quelli che avranno vissuto con i sensi spalancati, ma che volendo guardare nel fondo delle cose (come qualcuno mi ha detto riferendosi a me) non facilmente avranno potuto gioire?
E anche se la domanda è pressochè improponibile, perchè l'ha già posta Marzullo, essa non è tuttavia peregrina, nè tantomeno cretina:
i sogni aiutano a vivere meglio?
Forse sì, ma SOLO se accuratamente dosati.
Se, infatti, la capacità creativa di vivere dentro dimensioni parallele può essere quello straordinario "buco nella rete" di cui scrisse Montale, la via d'uscita rispetto all'apnea esistenziale che prova chi, appunto "vede nel fondo delle cose", d'altra parte la tendenza alla fuga non può essere costantemente assecondata, pena la mancata conquista di una capacità di stare DENTRO il reale, fra accettazione da un lato, e costante tensione verso il miglioramento di se stessi e del proprio equilibrio interiore dall'altro.
L'immaginazione è una risorsa carica di straordinarie potenzialità, un dono immenso, un occhio in più, quell'occhio della mente che ti porta costantemente a vedere e leggere oltre il dato reale. Ma è anche un pericoloso demone bifronte, perché può diventare, se alimentata da un cosmico pessimismo e da energie negative, una droga dai devastanti effetti deformanti e allucinatori rispetto al dato reale. 
Mai avrei pensato di scoprirne questo lato oscuro, e non so capire se devo considerarmi toccata da una grazia speciale o colpita da una sorta di condanna.


Laura

8 gennaio 2012

OGGI

Oggi c'era il sole.
Non sembrava neanche inverno.
Nemmeno dentro di me.
Oggi Matilda si è messa il mio cappello rosso con le piume nere. Giocava col cappello rosso della zia.
Il rosso resta il colore dell'amore, non ce n'è.
Ma anche nel rosso c'è sempre un po' di nero.
= anche nell'amore c'è il lutto.
Oggi Milano riusciva a essere un po' bella.
Mai dire mai.
Oggi ho visto una bella mostra alla Permanente.
E anche la Permanente era bella.
Ma dire mai - 2.
Era piena di luci, ombre, luci ancora, ombre ancora.
= la Permanente, oggi, sembrava un po' la vita.
Oggi ho mangiato "parecchio" cioccolato.
Il cioccolato è SEMPRE il cioccolato.
L'hanno detto in tanti, ma fa niente.
Oggi qualcuno ha guardato le mie foto della vacanza a Strasburgo e ha detto "Che belle foto!"
E io mi sono sentita, per un attimo, felice.
Un attimo, giusto un attimo. Però, felice. Perché guardando le mie foto, guardavano ME.
E io sono e resto un'INGUARIBILE narcisista.
Bisogno di troppo amore, e quindi spesso grande dolore. Perché per me non è mai, mai abbastanza.
Non mi basterebbe un oceano di amore.
Oggi ho visto la Scala, piena di luce.
Ho guardato su, verso la terrazza.
Ma un attimo, giusto un attimo.
Con certe cose, meglio non esagerare.
S'intende, sono bei ricordi. MAI rinnegare, MAI disconoscere.
Ma vanno solo sbirciati.
Non guardare dai buchi di certe serrature.
Dietro certe porte, stanno lutti che solo il tempo di una vita può guarire.
Perchè molto è il tempo che occorre per riportare una mitizzazione entro i confini del reale.  
Oggi sono stata in libreria.
Dio, i libri!
Mio grande, pazzo, enorme, inguaribile amore!
Mio viaggio, mio sogno, mia vitale evasione, mio mondo parallelo,
mie risposte, mia ricerca, mia ancora nel nulla.
Oggi mi sono sentita viva.

Laura

WHAT HAVE I GOT INSIDE ME? (THIS IS ME - 2)

DANCING IN THE DARK (THIS IS ME)