26 dicembre 2011

23 dicembre 2011


21 dicembre 2011

NATALE 2011

RIECCOMI

Lunga la mia assenza dal blog, questa volta.
Forse la più lunga da che esiste il Roman.
Ma mentre in occasione delle precedenti "fughe da Alcatraz" mi sentivo sempre un po' in colpa, e quindi  cercavo mille giustificazioni, questa volta ho pensato che in fondo il silenzio nel mio minuscolo spazio telematico parlasse, molto più di mille parole, di un momento, di una fase complessa nella quale sono successe, dentro e fuori di me, parecchie cose di non poco rilievo. E non hanno smesso di succedere, in questo mio perpetuo moto di ricerca che tanto fa di me ciò che sono, quanto a volte è un destino difficile da sostenere e portare con me nel mio cammino esistenziale.   
Intanto si avvicinano le feste, e la fine di questo difficile 2011. Un altro anno vissuto spesso all'insegna del corto respiro, dell'apnea esistenziale, del grande, immenso bisogno di risposte sul passato, sul presente, e ancora di più sulle perpetue incognite del futuro. Della ricerca di contatto, vicinanza, calore, di un esperanto dei sentimenti, del cuore, delle emozioni, più ancora che del pensiero. Una ricerca difficile, quasi una sfida impossibile, si direbbe, dentro un orizzonte quotidiano come quello in cui siamo immersi. E in questo cercare si imboccano tanti sentieri, si tentano diverse strade, in parte vecchie in parte nuove, cercando di prestare ascolto un po' alla ragione e un po' al sentimento; di mediare, di non indulgere nè all'esasperato arrovellarsi nè allo scuotimento dei sentimenti, di non salvare tutto a tutti i costi ma, allo stesso tempo, di non bruciare nemmeno tutto nel falò impulsivo delle amarezze, delle delusioni, dei capitoli che non siamo riusciti a chiudere come avremmo desiderato, sentendoci per questo impotenti, imbranati, miopi. Perchè se il troppo riflettere allontana dalla vita vera, e trasporta in uno sterile mondo delle idee, l'abbandono alle emozioni impossibili fa volare, sì, per un attimo fa volare, ma poi fa cadere in picchiata, e con le ali bruciate dal disincanto e dalla delusione.
E allora, cosa si capisce, in mezzo a tanto dolore, in mezzo a tante domande inevase da sè e dagli altri, che non vogliono o non possono risponderti, in mezzo a tanti segni difficili da decifrare? Si capisce che non tutte le domande possono trovare risposta, come mi sono sentita dire recentemente da un religioso che, in quanto tale, rimette nelle mani dell'Assoluto la comprensione piena e totale, la conoscenza di tutte le risposte a tutte le domande, il perchè delle contraddizioni, delle incoerenze, delle ingiustizie perenni, perpetuate, recidive, quelle che ci toccano e ci riguardano da vicino e quelle che osserviamo intorno a noi, i conti del dare e dell'avere che non tornano mai, mai, e forse ha ragione mio padre, che dall'alto dei suoi 76 anni dice che "i conti del dare e dell'avere non si possono fare se non quando si arriva all'ultimo respiro; allora, solo allora, si possono tirare le somme e capire se si è a debito o a credito rispetto all'esistenza, se si può parlare di sfiga o di fortuna". 
Nel tanto cercare, nella selva oscura dentro la quale la diritta via è stata smarrita, qualche segnale si coglie, si intravede all'orizzonte: l'ipotesi, ad esempio, di guardare da vicino il dolore degli altri, per relativizzare il proprio e riconoscere meglio ciò che si ha nella propria vita. Che non è non scontato, non è dovuto; e sempre mi sorprendo a colpevolmente dimenticarlo, chiamando a rapporto l'esistenza con l'arroganza di un'immotivata pretesa. Oppure l'amore semplice, eppure grande, che sta in un affetto nuovo, tutto da costruire, come quello per la mia piccola nipotina; minuscola creatura nella quale già intravedo i segni di un temperamento a mezza via tra il malinconico, il ribelle, e un'imperiosa volontà di imporsi sul corso ostile e capriccioso delle cose, che spesso non ti assecondano nei tuoi desideri e nelle tue aspettative. Uno sguardo, il suo, non solo stupito, ma anche, se non diffidente, senz'altro guardingo sul mistero della vita intorno a lei. Ti voglio bene, piccola Matilda, e spero che la vita ti aiuti a stemperare la malinconia senza estirparla, a smussare l'istinto di ribellione senza spegnerlo, a dosare il tuo "volli, sempre volli, fortissimamente volli", imparando a piegarti anzichè spezzarti, attendendo che passi la piena e non pretendendo di affrontarla e vincerla con forze troppo deboli per avere la meglio in quello che così si trasforma in un vano corpo a corpo con l'esistenza. La vita è più forte, non c'è niente da fare. E bisogna, bisogna trovare il modo di dialogare con lei, di contrattare, ritrarsi nei momenti più duri per poi avanzare in quelli più propizi, di seguire e (fingere di) assecondare l'onda per arrivare - forse - a cavalcarla, senza venirne travolti e annegare a causa di una strenua irriducibilità votata alla sconfitta in partenza.
E per me?
Sarà troppo tardi per me, per fare mia questa fondamentale lezione esistenziale? Farla scendere dalla testa al cuore, e da lì alle profondità che solo nel sonno ci parlano, ci mandano messaggi criptati dal nostro Aldilà esistenziale?
Perchè nella testa tutto questo c'è già, con cristallina chiarezza. Comincia a popolare anche il cuore, pur se a corrente alternata e in mezzo a feroci, dolorosi attacchi di nostalgia per le rassicuranti funzionalità interiori del passato, di cui è a volte fortissima la tentazione di riappropriarsi, abbandonandosi alla regressione, tornando alla sponda nota da cui si è partiti per solcare acque tempestose e ignote che d'altra parte non si può che attraversare; vero e proprio, inderogabile battesimo del fuoco. Ma è laggiù, laggiù nelle più remote profondità, quelle più buie, insondabili che abbiamo dentro, come le hanno gli oceani là dove non si può vedere, dove non si può arrivare, dove vivono le ombre, i mostri, le sedimentazioni esistenziali, che è difficile portare e radicare tutto questo.
In definitiva, questo io credo sarà il compito della mia intera vita davanti a me stessa.
E che i tempi a venire mi diano ossigeno, mi diano speranza, mi diano coraggio per affrontare il mio compito esistenziale.

Laura 

9 dicembre 2011

DAGLI ARCHIVI DELLA STORIA

Una vicenda sconvolgente, che ignoravo del tutto nella mia immensa, vergognosa ignoranza della storia di tanti Paesi: questa che vedete qui sopra è Dilma Rousseff, attuale Presidentessa del Brasile, che all'età di 22 anni, fra il 1970 e il 1972, fu detenuta e orrendamente torturata per giorni dal regime brasiliano di destra in quanto dissidente.
La foto qui sopra la ritrae appunto dopo le torture subite, di fronte al tribunale dei suoi aguzzini che si coprono il volto, mentre lei fissa un punto di fronte a sé con sguardo stanco, ma fermo e presente.
Oggi questa donna è a capo della nazione per la quale si è fatta torturare.
E chi allora sedeva sullo scranno del "giudice", quasi certamente oggi è carne per i vermi.

Laura