22 febbraio 2010

LAURA TRANSFORMER, E ALTRE VARIE ED EVENTUALI

Arieccomi.
Sono rimasta indietro con il mio diario quotidiano perchè ho avuto delle giornate un po' movimentate, ma ora voglio provvedere a un aggiornamento.

Intanto, "nuntio vobis gaudium magnum" che
a. mi sono tagliata i capelli: una bella ranzata, che è stata più che salutare, e a dire di tutti anche una buona mossa estetica, svecchiante e sbarazzina. Un gesto dada, per darmi una spinta psicologica e "buttarmi un po' fuori", come si suol dire. Una mafaldiana protesta contro il grigiore del quotidiano, un sano capriccio, un'uscita dai soliti schemi.
b. un po' in ritardo sui ritmi dell'adolescenza, ma meglio tardi che mai, mi sono fatta il piercing: un brillantino al naso (naturalmente a sinistra, a rivendicare orgogliosamente il mio mancinismo, le mie propensioni creative e la mia profonda, intatta identità ideologica), che con il suo discreto ma vivace baluginio mi fa sentire, se non originale, quantomeno divertita e divertente.
Seguirà presto alle due notizie testimonianza fotografica della piccola rivoluzione estetica.

Abbiamo riportato Ronnie dal veterinario, per il controllo post-cura antimicotica. Il risultato non è stato rassicurante: la mia cicciola è guarita dal fungo che l'ha tormentata nei mesi scorsi, ma in compenso, causa età avanzatissima (è una minuscola centenaria!) ha una brutta infezione all'occhio che difficilmente si potrà curare. Conviene essere realisti, e prepararsi da oggi alla sua partenza per il Paradiso dei criceti; potrebbe accadere tra una settimana, due, un mese, ma non ci si può fare troppe illusioni, godendo invece della sua presenza fin tanto che durerà.
Ho pensato che anche in questo senso l'esperienza, fatta per la prima volta con Ronnie, di un piccolo animale da compagnia, è per me profondamente istruttiva, educativa: mi ha fatto e mi fa crescere e maturare nel mio rapporto così faticoso con il dolore, nella mia totale, drammatica incapacità di accettazione della fine delle cose. Oggi mi è parso di saper reagire bene alla notizia che Ronnie non potrà farci compagnia ancora per molto... vedremo quando ci lascerà...

Ho letto, anzi divorato in due giorni, La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia. Lo scrittore affronta il tema con grande cura documentaristica. Ma soprattutto trasmette al lettore tutto lo sgomento, ma al tempo stesso l'ammirazione, che provò per la vicenda di quest'uomo. Un uomo così incommensurabilmente geniale da essere schiacciato dalla propria preveggenza sulle implicazioni delle scoperte della fisica nucleare, che presto avrebbero portato alla realizzazione della bomba atomica. Non giungendo però alla decisione di togliersi la vita: la convinzione di Sciascia, e anche la mia, è che Majorana, nella consapevolezza dell'impossibilità di trascinare un'umanità cieca oltre l'angustia del proprio orizzonte, abbia scelto la strada di un ritiro dal mondo (ritiro forse non privo di un qualche significato spirituale); comprendendo drammaticamente che la preveggenza del singolo, il suo "sguardo della mente", non può in alcun modo cambiare i ritmi e il corso della storia.
La vicenda dello scienziato è utile a Sciascia per un ragionamento su tante, e tutte fondative questioni: la questione del potere, dato che il caso Majorana si colloca cronologicamente in pieno regime fascista, arrivando sul tavolo di Mussolini (che inutilmente ordinerà di risolverlo ad ogni costo, perdendosi il filo delle ricerche fra la polvere delle stanze del potere e l'inettitudine dei funzionari che le abitano); la questione dell'inabilità del genio al confronto con la "normalità" del vivere, che rese Majorana uomo chiuso, silenzioso, difficile; il dramma, anche, della coscienza della propria precoce genialità, che al genio fa bruciare le tappe della conoscenza, ma anche della vita stessa; e, appunto, la questione della tragica impotenza dell'individuo rispetto ai ritmi della storia, di fronte alla quale Majorana scelse, molto probabilmente, il silenzio dei chiostri di qualche convento fra Roma e Napoli, che seppe accogliere e proteggere un'anima afflitta da un'intelligenza - intesa proprio, letteralmente, come capacità di "intelligere" - tanto più grande di lui.
La portata di questa vicenda umana, rimasta avvolta (come forse era previsto e deciso da imperscrutabili disegni) da un impenetrabile mistero, mi sconvolge e alimenta in me una sconcertante sensazione - dirò di più, una COSCIENZA - dell'infinitesima piccolezza delle nostre vite, e, ancor più, della difficoltà di dare loro un significato, un peso, una ragion d'essere che siamo d'altronde, secondo me, TENUTI a dare alla nostra esistenza. Un dovere morale di fronte all'eccezionale opportunità dello stare al mondo, e anche un antidoto alla polvere che si torna ad essere. Altrimenti, cosa resta? Cosa può restare, quando noi saremo passati?
O forse sarebbe più saggio interrompere questo vano agitarsi, e accettare la verità sulla quale Sciascia stesso si sofferma nelle ultime pagine del libro:

"Questi nostri attori, come del resto avevo già detto, erano soltanto degli spiriti, e si sono dissolti nell'aria, nell'aria sottile. E simili in tutto alla fabbrica senza fondamento di questa visione, le torri incappucciate di nubi, gli splendidi palazzi, i sacri templi, lo stesso globo terrestre e tutto quel che vi si contiene, s'avvieranno al dissolvimento e, al modo di quello spettacolo senza corpo che avete visto ora dissolversi, non lasceranno dietro a sè nemmeno uno strascico di nube. Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, circondata dal sonno è la nostra breve vita".

William Shakespeare, La Tempesta, atto IV

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