E' Firmino, di Sam Savage, un tipo bizzarro che per tutta la vita ha avuto il pallino dei libri, della lettura e della scrittura, e ha sognato di scrivere il suo capolavoro facendo nel frattempo mille mestieri.
E' arrivato alla fine a scrivere questo libretto, pubblicato inizialmente in America da una piccola casa editrice e stampato in non più di mille copie, poi diventato un grandissimo successo editoriale.
Il suo eroe è un tenerissimo personaggio, un perdente di cui ci si innamora, sicuramente fortemente autobiografico: Firmino, appunto, un topo bibliofilo che scopre un folle amore per i libri, ma anche per il vasto mondo, gli uomini - di cui saggia e conosce la pietà e la crudeltà, la bellezza e lo squallore - le donne, di cui diventa grandissimo ed estasiato estimatore, venendo alla luce nella soffitta di un negozio di libri che si trova in un vecchio quartiere di Boston destinato ad essere ben presto travolto dal "nuovo che avanza".
Firmino nasce in una nidiata numerosa, da una mamma sballata e sempre un po' sbronza che un giorno non tornerà più a casa dalle sue scorribande, e deve subito lottare con i suoi nerboruti fratelli per avere accesso alle tette materne e potersi nutrire. Lui infatti è decisamente diverso dagli altri: piccoletto, fragile, ma con la testa grossa e piena di bitorzoli che secondo lui stanno a dimostrare patentemente quali sono i tratti fondamentali del suo carattere e della sua personalità, come spiega un testo di anatomia e psicologia che più volte egli cita sia parlando di se stesso, sia descrivendo lo zuccone di Norman.
Norman è il proprietario della libreria stracolma di libri, "il primo essere umano che io abbia amato", dice Firmino, che lo spia dalle postazioni strategiche che ha individuato all'interno del negozio imparando a conoscerne ogni angolo e recesso e soprattutto ogni libro, prima avidamente divorato, poi altrettanto avidamente letto.
Non mi addentro nella trama del libro per non raccontarne troppi dettagli, ma mi soffermo sul suo protagonista perchè veramente sarebbe, se esistesse, da travolgere di baci.
A parte il fatto che mi ricorda moltissimo Ronnie, il mio amato criceto, c'è tutto in Firmino perchè non si possa far altro che amarlo a dismisura: è un sensibilone, imbranato, romantico e sognatore, ben consapevole della propria assoluta "diversità", che talvolta lo rende fiero sostenitore di se stesso, talvolta lo fa sentire disperatamente solo, brutto e triste.
Ma anche quando ci parla della sua disperazione, non lo fa mai con accenti patetici, ma piuttosto malinconici, e col distacco di una grande intelligenza che gli dà una grande lucidità di fronte a se stesso, alle cose degli uomini, della vita e del mondo.
E' un topo molto saggio ed equilibrato, nonostante i suoi slanci passionali, la forte e sensibile partecipazione ai momenti belli e brutti della vita altrui, o i momenti di apatia per la bruttezza e cattiveria del mondo che si accanisce contro di lui ed è pieno di trappole mortali; come quando viene assalito dalla tristezza e si sdraia nella sua soffitta, polverosa ma tiepida e accogliente, dove è rimasto solo dopo che i fratelli se ne sono andati per il mondo incontro alle loro sorti, e sprofonda meditabondo nella composizione della sua Ode alla Notte "guardandosi le dita dei piedi".
Chi di noi non ha avuto voglia, ogni tanto, di starsene lungo e tirato nel letto a rimuginare sui mali del mondo e sui propri dispiaceri, "guardandosi le dita dei piedi"?
Lo trovo fantastico!
A parte poi gli aspetti più legati al personaggio, la bellezza del libro sta anche nella sua capacità di affrontare molti temi importanti, ma sempre all'insegna di una malinconica leggerezza che non potrebbe essere più distante dalla prosopopea e dalla pedanteria.
Sono a poco più di metà del libro e anche io lo sto divorando, come Firmino divora le sue letture, augurandomi che non si vada incontro a un finale triste... perchè mi sono innamorata di questo dolcissimo topo e non sopporterei di vederlo finire male...
Firmino, sei tutti noi! (O quantomeno sei sicuramente me!)
Laura
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