Ci risiamo.
Eccomi di nuovo alle prese con la noia.
Dio, che condanna.
Ma QUANDO, QUANDO Dio buono capiterà anche a me, come a tutti gli esseri umani "normali", di trovare la pace dei sensi e dell'intelletto, e di quietare una buona volta il mio cerebro in perenne stato di superlavoro come un criceto dentro la ruota?
Quando riuscirò a ficcarmi in questa zucca recalcitrante al buon senso che la vita non consiste in un susseguirsi di clamorose novità e di brividi di grande emozione, bensì in un continuum fatto di piccole semplici ripetitive cosucce di scarsa rilevanza emotiva, fra le quali solo una tantum si accende un labile fuoco d'artificio, che il tempo che te ne sei accorto e si è già spento?
Fanculo.
MA PERCHE' PRIMA O POI TUTTI FANNO PROPRIO QUESTO SEMPLICE CONCETTO, E IO NO?
Qualcuno, prima o poi, mi dovrà rispondere a questo tormentoso quesito. E dicendo "tormentoso" non faccio per niente la spiritosa. E' VERAMENTE un tormento. Tant'è che allo sguardo di chi mi è più vicino paio nuovamente morsa dalla mia caratteristica, inseparabile, fedele, ricorrente tarantola. La mia "adorabile" bestiola da compagnia, il mio demone, il piccolo mostro che alberga in me e se ne sta silente solo per un po', prima di risvegliarsi e ricominciare a torturarmi. Se dovessi dargli una forma concreta, direi che lo vedrei più o meno così:
Ora, mi fermo a pensare e mi ripeto che non si può dire che io abbia una vita vuota. A momenti non ho il tempo per una pipì.
E non si può nemmeno dire che sia piena SOLO di cose noiose, che tocca fare: il lavoro, le rotture di palle di tutti i giorni tipo il faretto del cesso da sostituire, la lettiera della gatta da pulire, la tassa rifiuti da pagare... insomma i DOVERI.
Direi che mi sono abbastanza sbattuta per metterci dentro, ultimamente, in questa mia vita, anche un po' di cose assolutamente indispensabili a nutrire se stessi, che nulla hanno a che fare con la dimensione doveriale. Un più attento sguardo sugli altri (e su me stessa) attraverso il volontariato, che non si può dire stia deludendo le mie aspettative riguardo a quanto pensavo potesse darmi. Il fondamentale ritorno al teatro, del quale ancora non posso dire niente, essendo che il capitolo si è riaperto soltanto la scorsa settimana; MA, se il buongiorno si vede dal mattino, direi che ho fatto la cosa giusta. E poi il cinema, le letture, i miei blog, qualche serata con persone carine, anche se non proprio definibili come amici, gli ascolti musicali al pomeriggio mentre lavoro in casa (grande, gigantesca conquista di autonomia e libertà per la quale dovrò ringraziare me stessa finchè ho respiro in corpo).
Conseguentemente, non si può nemmeno dire che mi manchino le fonti di emozione. Cioè, guardo gli altri intorno a me, e se dovessi basarmi sul colorito e sullo sguardo, direi che mi trovo comunque più viva di un sacco (se non della maggioranza) delle persone.
E ALLORA, Cristo santo?!?!? Allora perchè in alcuni momenti mi pare di non sentire NIENTE?
Lo so io perchè.
Primo, perchè nella mia testa si è stabilita una maledetta sovrapposizione fra il concetto di esistenza e il concetto di magia. E invece, la vita nel suo quotidiano ha poco di magico, poco di colorato, poco di commovente, poco di emozionante, poco, poco, poco.
E secondo, perchè quello stato di comunione profonda del sentire che io vorrei vivere con gli altri non è che esperienza del tutto sporadica, del tutto aleatoria, momentanea, fragilissima, ammesso e non concesso che tale esperienza ci capiti di attraversare. Ed è un'esperienza che fra l'altro rende dipendenti dal corso del tutto imprevedibile del sentire altrui, fatto dei suoi tempi, delle sue esigenze, delle sue incongruenze, delle sue "irregolarità" e asperità.
Allora ecco che sarebbe veramente forte la tentazione di chiudersi su se stessi, di trovare nel solipsismo la soluzione. Ma sappiamo che così non è, che la strada non è questa, che è solo una fuga, un'uscita di sicurezza, una falsa soluzione. E che invece occorre STARE. Stare dentro le cose, anche quando ci soffocano, anche quando ci ammorbano, anche quando non ci paiono interessanti, fruttifere, quando ci manca quel qualcosa di veramente intrigante, appassionante, quel qualcosa che ci prende tutti completamente, e ci porta via, ci porta dentro la dimensione in cui domina incontrastata l'emozione. Stare. E cercare di starci al meglio, dentro queste cose, e di vederle belle, e di rileggerle, e di riscoprirle, e di tornarci sempre sopra con la disponibilità d'animo a vederle ANCORA E DI NUOVO interessanti.
Compiere l'immane sforzo di lavorare con l'immaginazione sul dato quotidiano, e sentire la musica anche dove non c'è, vedere i colori dove non ci sono, sentire lo spirito vitale anche dove è flebile, dove tende a perdersi, dove ha scarso alimento.
E poi l'accettazione. La maledetta accettazione, non nel senso del ripiego, dell'adeguamento, ma dell'accettazione che viene DOPO l'attraversamento delle cose, del dolore, della mancanza, del vuoto. Anche l'accettazione della noia come parte integrante dell'esistenza, piuttosto che lo strenuo e perdente tentativo di sradicarla, di non provarla mai più. L'accettazione della solitudine, l'accettazione della "casella della posta vuota", laddove vorresti trovarla piena, piena di attenzioni, piena di presenze, piena di proposte, piena di stimoli, di dare e avere, piena di risposte, consigli, vicinanza, consolazione in questo immenso pelago dell'esistenza in cui è così difficile navigare.
Saper STARE anche senza tutto questo, Cristo benedetto.
STARE.
Laura
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