18 ottobre 2009

53A BIENNALE D'ARTE DI VENEZIA - SABATO NELLA SERENISSIMA REPUBBLICA


Sabato a Venezia, per una scorpacciata d'arte alla 53a Biennale.

Splendida giornata di sole, per nulla fredda; un piacere sia il tragitto in vaporetto dalla stazione a S. Marco, sia la camminata sul lungomare fino all'Arsenale, prima tappa della visita.
Il tema della Biennale quest'anno è Fare Mondi - Making Worlds.
Ossia da una parte indagare e riflettere ciriticamente sui mondi reali in cui attualmente viviamo, dall'altra ragionare su possibili mondi alternativi, all'insegna della carica utopica che l'arte DEVE sempre conservare e alimentare dentro se stessa.

All'Arsenale mi sono piaciuti soprattutto:

- l'installazione della neoconcretista brasiliana Lygia Pape, che accoglie i visitatori: sottili fili dorati che formano degli aerei parallelepipedi luccicanti nel buio, alti fino al soffitto
- il villaggio africano ricostruito dal camerunense Pascale Thayou, con capanne, feticci, ma anche donne che si danno a nuove attività di sopravvivenza e bambini che giocano intorno a fuochi non più primigenii ma moderni, e per questo simboleggiati da lampade di design occidentale


- l'opera dello svedese Jan Hafstrom: su tre pareti di una delle sale delle Corderie, grandi riproduzioni di figure e oggetti della modernità, dalla casalinga che asciuga i piatti all'esploratore, dalle armi ai vestiti, dalle monete ai simboli religiosi. Un gigantesco e anche un po' inquietante inventario del nostro universo visivo e mentale.


- la città immaginaria ricostruita in due dimensioni dal sudafricano Moshekwa Langa, utilizzando grosse spolette, macchinine, biglie, palle di gomma, ferri da calza e fili elettrici multicolori


- le stanze colorate del brasiliano Ildo Meireles
- gli specchi frantumati di Michelangelo Pistoletto


- gli utopistici progetti architettonici di Marjetica Potrc


- i due mappamondi proiettati in ambiente buio da Grazia Toderi: due mondi apparentemente fantastici, e invece molto reali in quanto trattasi di vedute notturne di varie città del mondo, illuminate da mille e mille luci nella notte
- le inquietanti bambole vodoo della dominicana Raquel Paiewonsky


- la parete ricoperta dalla coppia d'arte Bertozzi & Casoni con decine e decine di armadietti Primo Soccorso, contenenti statuine in ceramica che riproducono personaggi e temi della storia del mondo; anche quest'opera vuole essere una sorta di (inquieto) riassunto enciclopedico del nostro immaginario. Una delle pochissime opere che salverei dal nostro reazionarissimo padiglione Italia; per conto mio, un netto pollice verso per i curatori Beatrice e Buscaroli.




Nel pomeriggio siamo andati ai Giardini, a vedere i padiglioni nazionali.



Qui mi hanno colpito molto:

- la stanza con i lavori dei due austriaci Franzisca e Lois Weinberger, concentrati sul tema del rapporto con la natura



- la piscina con il cadavere dell'annegato, parte di una provocatoria installazione che ha unito quest'anno il padiglione danese e quello nordico

- i dipinti dell'egiziano Adel El Siwi, dialoganti con le grandi statue in treccia di palma del suo giovane connazionale Ahmad Askalany


- il padiglione greco, con le opere di Lucas Samaras: foto elaborate con complesse tecniche digitali e una grande installazione composta da un gioco di specchi.

- i meravigliosi dipinti di grandi dimensioni del geniale Miquel Barcelò, nel padiglione spagnolo


Nell'ex padiglione Italia, divenuto Palazzo permanente delle Esposizioni, le opere più belle per me sono:

- l'installazione di Georges Adéagbo, del Benin, che ha raccolto e assemblato oggetti dei Paesi occidentali
- le sfere coloratissime di Massimo Bartolini per la stanza destinata alle attività educative dei bambini

- i cartoons della svedese Nathalie Djurberg, vincitrice del Leone d'argento per il più promettente giovane artista: proiezioni del nostro più violento e morboso inconscio, in mezzo a una selva di minacciosi fiori tropicali riprodotti su scala gigante con cera e resine artificiali

- più di tutto, e forse in assoluto anche rispetto alle opere dell'Arsenale, il teatrino del tedesco Hans Peter Feldmann: un lungo tavolo su cui sono state poste delle piattaforme circolari rotanti, su cui poggiano decine e decine di oggetti del nostro quotidiano le cui ombre vengono proiettate su una parete, a creare un gioco di ombre cinesi continuamente mutante.

Terminata la nostra visita, ci siamo incamminati verso S. Marco, godendoci la magica vista serale della città e della piazza; poi in vaporetto siamo tornati alla stazione (rischiando di perdere l'ultimo treno per Milano!!!) e siamo rientrati nella grande metropoli.

... dimenticavo! FINALMENTE mi sono regalata una maschera veneziana; saranno kitsch, saranno cheap, MA A ME PIACCIONO UN CASINO!!!


Comunque non l'ho messa in bella mostra nel salotto di casa; sarà l'enigmatico nume tutelare della mia stanzetta.

Laura

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