Appare oggi su Repubblica on line un bell'articolo di Concita De Gregorio sul tema della nascita del figlio di William e Kate d'Inghilterra:
Mi piace molto perché affronta l'argomento dal punto di vista di come l'evento e i suoi protagonisti si inseriscono nel contesto sociale e nel tempo storico - gramo, assai gramo - che stiamo vivendo a livello mondiale.
A parte il fatto che la nascita di un bambino, di "sangue reale" o meno, è sempre un avvenimento che porta positività e speranza nella giungla disperante di funeste e avvilenti notizie nazionali e internazionali, c'è da dire che anche secondo me questa giovane coppia suggerisce davvero un'idea di semplicità e autentico amore che porta una ventata di svecchiamento e schiettezza sui paludamenti (e gli abbondanti squallori) della royal family e, direi, delle casate reali di tutta Europa.
Sono proprio due ragazzi "normali", questa Kate e questo William neogenitori, due ragazzi emozionatissimi, felici della felicità autentica dei momenti più belli della vita, e modesti, e trasparenti nei loro sorrisi davanti alla folla di giornalisti e popolino in festa per il loro fagottino. Da lei soprattutto, all'indomani del parto e con la pancina ancora in evidenza sotto il vestitino quasi da grandi magazzini, poche parole, ma significative: "Ci sentiamo come ogni genitore al mondo si sente in un momento come questo". "Ogni genitore al mondo". Cioè "siamo come ogni genitore al mondo, non diversi, non speciali, non migliori, perché "di sangue reale" ". Lui, in maniche di camicia, prende suo figlio nel baby pullman e lo carica in macchina, poi si mette alla guida e va a casa con sua moglie. Fa niente che "casa" è Kensington palace.
Quello che conta è come i due hanno scelto, sin dalle nozze e ancora nella cruciale circostanza di ieri, di porsi davanti alla "gente". Al loro "popolo".
I 31 anni che separano la nascita dello stesso William da quella di suo figlio parlano di questo nella maniera più eloquente, come ben sottolinea la Concita nel porre a confronto le foto dei neogenitori di ieri con quelle di Carlo e Diana: lei comprimaria infelice di una recita opprimente, madre di un figlio nato per ragion di stato e non dall'amore, lui manichino in evidente disagio, rigido nel vestito inamidato, assolutamente inadatto alla circostanza e al luogo, la stessa clinica in cui ieri è nato il royal baby. E, nota anche questa assai significativa, lui teneva 31 anni fa in braccio il figlio, che POI cedeva a lei; ieri, l'esatto opposto: LEI, LA MADRE, lo cede a lui; anche se lui sarà il re. Perché quello che conta e che prevale è il ruolo biologico, non quello sociale. E dunque è LEI, che lo ha messo al mondo, che presenta suo figlio. Non lui.
E ha ben ragione la Concita a scrivere che di questa semplicità, veramente, la cosiddetta "gente" ha soprattutto adesso bisogno, e sente, percepisce se questo le arriva, in tempi oscuri come quelli che attraversiamo, tempi di precarietà, enormi sbilanciamenti sociali, miseria di ritorno, incertezza sul futuro, ingiustizie colossali, esplosive, scandalose, e una orrenda messe di personaggi osceni nella loro arroganza, nel loro inverecondo potere, nella loro strabordante delinquenza, dal soffocante panorama del nostro devastato paesucolo delle banane a quello fuoriporta, in cui comunque le aberrazioni abbondano.
La "gente" ha bisogno di sentire che le figure di riferimento, e ancora di più quelle che investe da sempre di fortissimo significato simbolico, come i papi e i re, sono vicine a lei. Certo, non sono e non saranno mai COME lei. Ma quantomeno, vicine. Finalmente giù dal piedistallo, dagli scranni, dai troni monumentali, forti della forza della semplicità e, intelligentemente, impegnate a evidenziare la propria normalità piuttosto che la propria eccezionalità.
Papa Francesco, dalla sua elezione a pontefice, ha imboccato con assoluta decisione la stessa strada dei due ragazzi inglesi. Segnando una svolta epocale nella storia di Santa Romana Chiesa. Basta tiare, basta vestimenti dorati, basta servitù medievale, basta comportamenti da principe rinascimentale, basta assurdi e grotteschi paludamenti.
E io devo dire che personalmente tutto questo mi piace. Mi piace molto, mi conforta, mi fa intravedere una possibilità diversa, ad onta di ciò che sembra disperantemente, sempre, ancora uguale a se stesso in questo mondo impazzito.
Tutto questo mi piace, sì, e mi fa guardare senza ammirata devozione da fedele o da suddito, ma nemmeno con antipatico cinismo, bensì con laica simpatia e partecipazione alle gesta di William, Kate e Francesco.
Se proprio delle icone la "gente" deve avere, che almeno quelle del terzo millennio sappiano recuperare un minimo di contatto con i "comuni mortali".