11 agosto 2008

CI SIAMO QUASI...

Mancano pochi giorni a Ferragosto, e alla nostra partenza per l'America.
Spero che questo viaggio porti una ventata di novità e di cose un po' diverse, anche se ovviamente molto dipenderà da come me lo vivrò.
Certo da qui non si desidera che scappare. Anno dopo anno, questa città nel tempo dell'estate diventa sempre più squallida e triste. La sua bruttezza, la sua mancanza di cultura, la sua sostanziale infelicità si manifestano con particolare crudezza, come se il vuoto delle strade arroventate permettesse loro di gonfiarsi a dismisura, di diventare delle specie di mostruosi blob che la invadono senza incontrare più l'ostacolo della folla, del traffico, del rumore.
Non sono un'amante della ressa in cui viviamo perennemente immersi e soffocati durante l'inverno; ma non riesco ad apprezzare, come altri, il vuoto delle strade e le serrande abbassate con il cartello del Chiuso per ferie.
E' pur vero che molte persone, a differenza degli anni scorsi, restano in città e in molti casi non smettono neanche di lavorare. Ma è la città che non sa adeguarsi a questi cambiamenti sociali importanti, che fra l'altro non sono nemmeno un segnale positivo perchè indicano che tanta gente non può più nemmeno permettersi un minimo di riposo. E se un tempo i negozi potevano anche rimanere chiusi quasi un mese intero, tanto ben pochi potevano averne bisogno, oggi come oggi queste serrande abbassate mi paiono anche un segno di egoismo e di indifferenza nei riguardi di chi rimane, di chi non può permettersi di spezzare la continuità della fatica lavorativa.
Il lavoro e il riposo sono entrambi diventati un lusso, laddove dovrebbero essere semplicemente dei diritti sociali acquisiti, distribuiti con equità e con la considerazione e il rispetto delle capacità di ognuno.
So perfettamente di non inventare nulla, anzi di scrivere delle grandi banalità. Ma constatare di vivere in un sistema ingiusto, squilibrato e incapace di rendere la gente non dico felice (dato che la ricerca e la conquista della felicità devono in parte rimanere un'utopia squisitamente individuale, da non demandare come uno scaricabarile alla società), ma almeno serena, in quanto garantita nei diritti fondamentali al lavoro, alla salute, e perchè no anche allo svago, non smette di indignarmi profondamente.
In questo posto non si può che lavorare.
Il lavoro diventa un formidabile anestetico rispetto alla solitudine, al vuoto, alla mancanza di dialogo con i propri simili, di un dialogo VERO, non di poche scemenze che ci si urla davanti a un beverone nel frastuono dell'happy hour, tanto per passare mezz'ora insieme dopo secoli che non ci si frequenta.
Forse sono io che sono incontentabile, che pretendo troppo, che avevo pensato che i rapporti umani fossero qualcosa di diverso.
Eppure mi sembra anche che le cose vadano di molto peggiorando, e che tanta gente viva lo stesso disagio.
Anche la fuga diventa difficile, perchè questo modello, fatto di rumore perenne, consumi voraci, corsa all'acquisto, pubblicità incessante, ossessiva, martellante, televisione monnezza, trionfo del trash, dell'orrore etico ed estetico, mostri edilizi e mancanza di spazio vitale, ormai viene esportato, deborda, esce dai confini delle città che non gli bastano più e invade e inquina e infetta anche i luoghi del silenzio, della natura, della pace e del riposo. E così le mete dei propri sogni diventano sempre più lontane, sempre più irraggiungibili, e si confondono con dei luoghi psichici, immaginari, diventano un luogo della salvezza morale e spirituale che non capisco più se stia fuori o dentro di noi.
Io veramente non avrei pensato di riuscire a vivere così male.
Ho pensato ingenuamente di poter vivere bene NONOSTANTE tutto questo, secondo I MIEI parametri, I MIEI principi, I MIEI valori; ma questa società ti emargina, ti isola, ti ignora se non riesce a cooptarti con la violenza, a comprarti, ad espugnarti. Ti corrompe oppure ti fa morire d'inedia.
L'unica salvezza resta una passione vera, profonda, indistruttibile, qualcosa che ti dà un senso al di là del lavoro, al di là dell'orrore del nulla. Chi ce l'ha, come Cristiano, è salvo.
Chi non ce l'ha, o l'ha persa per strada come si perde alle volte la fede, è perduto.
Io veramente mi sento spesso perduta.
Per questo mi auguravo, e torno ad augurarmi, di saper trarre qualcosa di psicologicamente buono dal viaggio che mi aspetta.
Laura

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